Il monitoraggio dello stato di salute delle foreste: dalla cellula ai satelliti

Si è ridotta la capacità di adattamento dei popolamenti allo stress climatico. Una app per segnalare siti forestali in deperimento
didascalia.

Cima di un albero di quercia in evidente stato di deperimento.

Data:Fri Jul 30 12:18:16 CEST 2021

Maria Castellaneta Dottorato in Scienze Agrarie, Forestali e degli Alimenti.

L'articolo viene pubblicato nell'ambito della collaborazione avviata tra la rivista AGRIFOGLIO e la Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari e dell'Ambiente dell'Università della Basilicata.

Il cambiamento climatico è un processo di portata mondiale ormai ben documentato. Negli ultimi anni si assiste infatti a fenomeni climatici estremi sempre più frequenti ed intensi. Tali fenomeni, soprattutto in ambiente mediterraneo, possono alterare rapidamente la composizione, la struttura e il funzionamento degli ecosistemi forestali, innescando talvolta processi di declino. Le variabili climatiche e la loro interazione con l’insorgenza di fenomeni di declino sono i principali fattori che influenzano le specie forestali e le dinamiche delle comunità da loro dipendenti sia nel breve termine, ad esempio influenzando la crescita e il ciclo riproduttivo degli alberi, che nel lungo termine, inducendone spostamenti nella distribuzione sia latitudinale che altitudinale.

 

Deperimento delle piante e siccità

Le specie forestali mostrano strategie diverse in risposta alle varie limitazioni climatiche. Alcune piante possono modificare il proprio ciclo di sviluppo eludendo il periodo di siccità (stress escape, ad esempio alcune specie della macchia mediterranea), altre invece mostrano adattamenti morfologici e/o funzionali che consentono di ridurre il possibile stress indotto dalla siccità (stress avoidance, ad esempio alcune conifere che presentano foglie sottili e aghiformi), infine ci sono piante che, grazie a particolari adattamenti fisiologici, riescono a tollerare periodi mediamente siccitosi (stress tolerance). L’apparato radicale svolge un ruolo chiave in questi meccanismi di resistenza e adattamento allo stress: da un recente studio condotto da alcuni ricercatori dell’Università degli Studi della Basilicata su querceti in declino presenti nel territorio dell’Appennino Lucano è emerso che le piante non deperienti, grazie al loro apparato radicale più profondo, riescono ad estrarre acqua dalla falda sotterranea rispetto alle piante deperienti con apparato radicale più superficiale, mostrando maggiore probabilità di sopravvivenza nei periodi estremi di siccità estiva. Esplorare la diversa sensibilità di crescita degli alberi in presenza di eventi climatici estremi è dunque la chiave per interpretare meglio le dinamiche forestali. Uno studio internazionale al quale hanno preso parte alcuni ricercatori dell’Università degli Studi della Basilicata ha evidenziato come i fenomeni di mortalità forestale indotti da periodi siccitosi stiano portando ad una conversione parziale o totale del tipo di vegetazione presente nei diversi biomi. In generale, negli ultimi anni si è assistito ad un aumento della suscettibilità e ad una ridotta capacità di adattamento dei popolamenti forestali ad eventi di stress climatico. Il fenomeno del deperimento forestale è ormai diffuso in tutto il mondo, e interessa diversi biomi e specie. Centinaia sono i casi di foreste con evidenti segni di deperimento segnalati nell’area Mediterranea, sopratutto in Spagna e Italia, come è possibile osservare in Figura 1.

 

Monitoraggio dello stato di salute delle foreste

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha dedicato ampia attenzione allo studio di tali fenomeni. Esistono due approcci per il monitoraggio dello stato di salute delle foreste. L’approccio tradizionale si basa sulla dendroecologia. La pianta si comporta come una sorta di “scatola nera” che registra le condizioni esterne ed è in grado di fornirci importanti informazioni. La dendrocronologia, ovvero lo studio dello spessore degli anelli legnosi, è in grado di fornire indicazioni utili sui periodi in cui le condizioni climatiche hanno influenzato negativamente la crescita degli alberi. Lo studio dell’anatomia del legno e delle sue variazioni permette di capire come la pianta ha reagito agli stimoli ambientali avvenuti in passato. L’approccio innovativo, invece, si basa sul telerilevamento satellitare. Il sensore registra l’energia riflessa dalle superfici alle diverse lunghezze d’onda. Ogni superficie interagisce in modo diverso, assorbendo o riflettendo la luce più o meno intensamente; questo diverso comportamento costituisce la cosiddetta firma spettrale, una sorta di impronta digitale che consente di distinguere le varie superfici. A partire dal comportamento spettrale della vegetazione sono stati introdotti i cosiddetti indici vegetazionali. Uno dei più utilizzati nel monitoraggio della vegetazione è l’NDVI (Normalized Difference Vegetation Index). La clorofilla contenuta nelle foglie assorbe la luce nel visibile per poterla usare nella fotosintesi; la struttura cellulare della foglia, al contrario, riflette in maniera marcata la luce nel vicino infrarosso. Pertanto, l’indice NDVI mette in relazione la quantità di energia riflessa nel rosso e nel vicino infrarosso. Ciò che distingue una pianta sana da una deperiente è proprio la quantità di luce assorbita dalla clorofilla, ovvero l’indicazione della sua attività fotosintetica. Usare l’NDVI ci consente di monitorare estese superfici forestali e confrontare l’andamento del loro stato di salute nel tempo. Da un lato abbiamo quindi i dati di crescita che ci consentono di andare indietro nel tempo ma presentano allo stesso tempo una scarsa risoluzione spaziale (il singolo albero). Dall’altro lato abbiamo i dati satellitari che permettono di avere una buona risoluzione sia spaziale che temporale: tuttavia, questi dati necessitano di essere confermati e correlati con parametri rilevati in campo.

L’attività di ricerca svolta nell’ambito di uno dei progetti del XXXIV Ciclo di Dottorato in Scienze e Tecnologie Agrarie, Forestali e degli Alimenti dell’Università degli Studi della Basilicata, ha lo scopo di combinare dati climatici, e dati derivanti dalla dendroecologia e dal telerilevamento satellitare per monitorare la vulnerabilità delle foreste mediterranee agli eventi climatici estremi. Le aree mediterranee, negli ultimi anni, sono sempre più soggette ad eventi climatici estremi caratterizzati da temperature spesso elevate associate a condizioni particolarmente siccitose (ne sono un esempio gli anni 2000, 2001, 2003, 2006, 2010 e 2017). Nonostante alcune foreste mediterranee siano più adattate a queste condizioni, queste anomalie climatiche potrebbero avere impatti negativi sugli ecosistemi forestali. Grazie alla collaborazione con l’Istituto Pirenaico di Ecologia di Saragozza (Spagna), l’attività di studio si è focalizzata su fenomeni locali di deperimento che hanno interessato l’Appennino Meridionale, i Pirenei e l’Andalusia. Ad oggi, sono stati identificati 42 popolamenti forestali in deperimento ma il database è in continuo aggiornamento (in Figura 2 si riportano alcuni esempi).

Di recente è stata avviata un’iniziativa da parte di alcuni ricercatori dell’Università degli Studi della Basilicata e del gruppo di lavoro “Foreste, tra Mitigazione ed Adattamento” della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale per realizzare un censimento di tutti i siti forestali in deperimento in Italia e creare una banca dati a livello nazionale. Nello specifico, è stata realizzata un’applicazione che possa consentire la segnalazione di potenziali siti forestali in deperimento presenti sul territorio italiano. L’app si rivolge sia a professionisti del settore che ad appassionati che vogliano contribuire al monitoraggio della salute dei nostri boschi.

Pertanto, le ricerche scientifiche sul monitoraggio della salute degli ecosistemi forestali sono cruciali per supportare potenziali misure di adattamento della gestione forestale sostenibile.

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Temi
Ricerca e Innovazione
Rubrica
agrinnova
Autori
Maria Castellaneta

Dottorato di Ricerca in Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari, Università della Basilicata

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